Con gli auguri di Natale la disfida della miassa.
PAPOZZE (RO)-L’amministrazione comunale nell’intento di tutelare e valorizzare la tradizione locale ha lanciato la disfida della miassa, una torta che a Papozze non è mai stata dimenticata ed ha continuato ad esser consumata, nel silenzio totale in tutte le famiglie la vigilia di Natale prima della messa di mezzanotte. Una tradizione radicata ancor oggi che così viene portata alla luce e trova la sua dignità nei piatti tipici. Numerose le concorrenti in lizza Il sindaco Mosca presidente della giuria che assegnerà il titolo ambito di “Maestro pasticciere per il 2020”. 21 dicembre, nel pomeriggio in piazza con il vin brulè.
La miassa-Antica pinza di sangue di maiale e farina di miglio.
La vigilia di Natale, scriveva nel 1890 Pio Mazzucchi da Castelguglielmo, “non bisogna mancare d’imbandire pel desinare un singolare pasticcio che, sotto forma di stiacciata assume il nome volgare di smegiaza, composto di farina gialla e intrisa con acqua bollente, in cui gettansi in copia melassa, zucchero, pinocchi, uva passa”.
Nella miassa, altrimenti detta smegiassa o megiassa, lacui base era costituita da farina di mais, con l’aggiunta di zucca, patate dolci, castagnaccio, oppure pane posto a mollo o fior di farina per renderla meno rustica alla vista e al gusto, vi confluivano poi tutta una serie di ingredienti in relazione alle disponibilità familiari: uvetta, pinoli, fichi secchi, canditi, scorza e succo di limone, pere o mele. Come dolcificante veniva impiegata dai più la melassa, mentre i benestanti potevano contare sullo zucchero ed eventualmente su aromi speziati, quali la cannella.
Impropriamente si ritiene che l’etimologia di miassa sia da melassa, il sottoprodotto della lavorazione della barbabietola. In realtà viene da migliaccio, una torta documentabile sin dal Medio Evo, con sangue di maiale e farina di miglio, da cui il nome, uno dei cosiddetti cereali minori che, assieme alla mélega, era ampiamente coltivato nelle campagne polesane. In seguito all’introduzione del mais e alla sua rapidissima diffusione, miglio e mélega quasi scomparvero, tanto che il migliaccio finì per accogliere la farina di granturco, integrata dalle zucche, dalla farina di castagna, da mele, pere o patate, comunque da prodotti divenuti complementari o succedanei ai grani minori.
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