App Immuni: la bufala gira sui social.
L’app Immuni ancora non è entrata in funzione, ma le fake news sono partite assieme alla possibilità di scaricarla
La bufala:
Spopola infatti un messaggio definito “dichiarazione di autotutela” (come se una dichiarazione su di un social network potesse avere effetti legali) dove si mette in guardia sul fatto che dietro l’app si nasconde un sistema di controllo degli spostamenti e di furto dei dati che si propaga attraverso i contatti registrati in rubrica. Il messaggio invita quindi a non installare l’app, chiedendo a chiunque voglia comunque farlo che abbia la cura preventiva di rimuovere l’autore del messaggio dai propri contatti.
Ovviamente nulla di tutto ciò è vero, anzi una dichiarazione di questo tipo oltre ad essere dannosa non ha alcun effetto pratico. Se non dimostrare la propria non conoscenza dell’app o la propria volontà di essere bollati come complottisti.
Immuni può rubare dati personali?
L’app, già scaricata da oltre un milione di persone e che inizierà la propria opera di tracciamento in 4 regioni pilota dall’8 giugno per estendere la propria operatività a livello nazionale dalla settimana successiva, infatti, non richiede nessuna autorizzazione al telefono, se non le apposite API (interfacce di programmazione applicazione) realizzate da Google o da Apple per permettere l’uso del bluetooth a bassa potenza e rilevare quindi la presenza in vicinanza di altri dispositivi dotati della stessa app.
E questo si può facilmente notare andando a verificare le autorizzazioni concesse dal sistema operativo, Android nel caso dello screenshot: Immuni non richiede alcuna autorizzazione di accesso ai dati.
L’app quindi non potrà accedere alla nostra rubrica, alle nostre immagini, a fotocamera e microfono e nemmeno localizzarci via gps. Con buona pace di quelli che hanno condiviso su Facebook la dichiarazione di autotutela, e che magari sono gli stessi che hanno accettato di buon grado tutte le richieste di accesso ai dati da parte all’app che permetteva farci vedere come potremmo essere tra 20 anni invecchiando le nostre foto.
Come funziona Immuni?
Com’è possibile che Immuni quindi funzioni senza alcun nostro dato personale? Associando un codice univoco ad ogni telefono. Ad ogni incontro con un altro smartphone, i telefoni mandano una comunicazione ai server. L’incontro viene quindi registrato ed i telefoni protagonisti sono identificati solamente tramite i loro codici.
Se un utente viene trovato positivo al Covid19 il personale sanitario permetterà di segnalare all’app Immuni la presenza della malattia. In quel momento il sistema andrà a verificare quali telefoni, nei giorni precedenti, si siano avvicinati al telefono della persona contagiata. Sulle loro app Immuni apparirà quindi l’avviso di contattare il personale sanitario.
In tutta questa procedura i dati registrati permettono di risalire ad ogni singolo telefono dove sia presente Immuni, ma non è mai possibile risalire a dati come nome, numero di telefono, localizzazione gps, né di nessun altro altro dato personale presente sullo smartphone.
Che smartphone mi serve?
L’invito è dunque di installare l’app, che per essere efficace deve essere presente su almeno il 60/70% degli smartphone in circolazione.
Per quanto riguarda Android, l’App è compatibile con tutti i telefoni a partire dalla versione 6 che hanno aggiornato i Google Play Services. Per quanto riguarda Apple, gli iPhone compatibili sono quelli che supportano la versione 13,50 di iOS, quindi dal modello 6S in poi.
Purtroppo però ancora non è possibile installare l’app su smartphone Huawei ed Honor, nemmeno su quelli che non sono stati toccati dal bando di Trump e che quindi hanno ancora installati i servizi Google. Questo a quanto pare per limitazioni imposte dalla personalizzazione Emui che la ditta cinese installa sui propri smartphone.
Bending Spoons, creatrice di Immuni, sta già lavorando per creare una versione compatibile con i nuovi smartphone Huawei privi sei servizi Google. Intanto anche Google è al corrente del problema e sta cercando di risolvere il problema per i telefoni Huawei dotati dei Google Mobile Services. L’unica cosa che può fare chi ha uno smartphone del colosso cinese, quindi, è attendere.
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